Caffè triplo in tazza grande. Due cucchiaini di zucchero. Mescolo, in senso orario. Non so perché, ma sono convinto che si sciolga meglio. Mentre aspetto che si fermi il piccolo gorgo che ho provocato, ascolto i rumori del palazzo che si sveglia. Beh, palazzo: quattro piani, del 1814, non particolarmente ben messi. Edilizia popolare austro-ungarica, pochi fronzoli, tanta pietra e travi solide, della quale occupo la mansarda. Ci sto bene, anche se il tetto spiovente ruba molto spazio, ma non sopporto le case “normali”. Quelle con le stanze quadrate, i soffitti a due e quaranta, finestre banalmente simmetriche e disposizione standard tipo atrio-soggiorno-cucina-camera-servizi. Qui è tutto storto e irregolare, c’è tanto legno, nessuna parete divisoria, e l’unica porta è quella del bagno. Mi piace.
Il piccoletto scodinzola freneticamente in direzione dell’ingresso, perché sente la vicina che sta andando al lavoro, ne riconosce i passi, e la saluta così. Il fatto che lei non possa vederlo non rende la cosa meno importante per lui, lo fa ogni giorno. Sorrido, pensando all’ironia del fatto che la mia simpatica dirimpettaia mi racconta spesso di quante teste di minchia arriviste e false ci siano nel suo ufficio, gente che le fa i sorrisoni e le moine finte, mentre cercano di fotterla appena possibile. Una volta o l’altra devo dirle che c’è almeno qualcuno che le dà il buongiorno più sincero e disinteressato del mondo, tutte le mattine.
Nella tazza, intanto, la situazione è ritornata alla calma piatta, e posso procedere al primo varo. Oggi tocca alle campagnole, che apprezzo molto, ma che necessitano di grande attenzione e perizia per essere battezzate a regola d’arte. Inzuppare i biscotti non è un’operazione da gestire con superficialità: va ottenuto lo stato di grazia della consistenza che si colloca esattamente un attimo prima dello spappolamento completo, quando il caffè è stato assorbito dalla quasi totalità dell’impasto, ma non è ancora giunto a comprometterne la coesione. Troppo poco, croccantezza eccessiva. Troppo, melma da cercare disperatamente sul fondo. Per niente facile. Con le macine sono bravi tutti, ma grazie al cazzo, quelle sono state progettate da un ingegnere navale. Le campagnole, invece, nonostante la struttura massiccia, affondano in tre secondi, peggio del Titanic, e il segreto per non farsele sfuggire è tenere il cucchiaino sotto, pronto al tempestivo sollevamento. Questione di attimi, ma beccando l’istante giusto la soddisfazione è assicurata.
Prima o poi scriverò un trattatello sul galleggiamento comparato dei prodotti del Mulino Bianco, con grafici e percentuali, modellizzando parametri come la permeabilità al caffè, la resistenza a sollecitazioni trasversali quali il mescolamento, la maggiore o minore simmetria dell’inabissamento e la raccoglibilità dei frammenti nella tazza in caso di naufragio. Chissà, magari mi assumono come beta tester.
Pensiero del giorno: “Sono pronto ad affrontare le prove”
(Obi-Wan Kenobi, “The Phantom Menace”, 1999)