Archive for marzo 2013

On The Road Again - 4 (Inception)



Capitoli precedenti: 1 - 2 - 3

Mi sveglio.
Eseguo un BIOS del sistema operativo, che mi segnala immediatamente “system error”.
Localizzo due gravi problemi all'hardware: stomaco sottosopra, e cerchio alla testa di tipo evangelico, ovvero corona di spine pulsante e strettissima. La prudenza mi consiglia di aspettare prima di aprire gli occhi, perchè da come mi sento potrei anche essere disteso in un campo di battaglia, dove crudelissimi nemici si aggirano tirando un colpo alla nuca ai feriti, e l'unica speranza di uscirne è fingere di essere morti. In queste condizioni, trovo facile interpretare un cadavere, e sono sicuro di averne pure l'aspetto. Penso, immobile, e cerco di ricostruire i ricordi, a partire dai più distinti e lontani per arrivare ai più nebulosi e recenti. Il tutto mi appare come un film assemblato da un montatore schizofrenico, la cinepresa sono i miei occhi.

Dissolvenza in entrata.
Primo piano lievemente sfocato di un gran bel paio di tette, strizzate in una scollatura audace ma non troppo, tipica delle brave ragazze ma non troppo. Le riconosco, e gli sorrido. Voce fuori campo.
Certo che te sei proprio fuori, eh”
L'inquadratura si alza, e nell'ordine appaiono due bicchieroni da cocktail vuoti, un'aggraziata mano femminile che tiene tra le dita una canna quasi finita, e infine il viso di lei, che tirando l'ultima boccata continua:
Cioè, io non sono mica abituata a cominciare le serate facendomi, voglio dire, dopo questa bomba mi basteranno ancora un paio di cose da bere e non capirò più un cazzo, ahahahahah, anzi mi sento già la testa leggera, ihihihihih, me ne ordini un altro che è così buono?”
Dissolvenza in nero.

Luci stroboscopiche.
Musica techno.
Non so perchè, ma sento che è tardissimo. 
Un paio di tette che non riconosco. Decisamente, non tette da brava ragazza.
Gli sorrido comunque.
Trucco dozzinale, abbronzatura finta, riccioloni biondi che sanno di parrucca lontano un miglio, abito lucido aderentissimo. Scommetterei su un paio di zeppe clamorose tipo viado brasiliano, ma non le vedo perchè, fortunatamente, ci separa il banco di un locale. Il che, realizzo con terrore, significa che questa è una barista, e io sto ancora bevendo. Vivo il tutto come un incubo psichedelico, mi giro, e vedo pali da lap-dance, diligentemente strofinati con numerose e poco vestite parti anatomiche da ballerine che non credo siano qui perchè respinte alle selezioni del Bolshoi. Ma sono russe comunque.
Non tutte.
Guardo di nuovo.
Non ci credo.
Gli errori numero 1,2,3,4,5 e 6 presentano il conto tutti insieme.
Il palo centrale, quello con pedana alta, è circondato da sei-sette individui di mezza età, piuttosto corpulenti, camicie aperte e catenacci d'oro che sbucano dal pelo, e occhi tipo prete pedofilo in crisi d'astinenza da chierichetti. Occhi fissi su un culo che invece, con una sensazione di freddo che parte dalla nuca fino a ghiacciarmi i coglioni, riconosco immediatamente.
Lei si struscia il palo tra le gambe, il vestitino è salito di spanne oltre il livello di guardia, butta la testa all'indietro scuotendo i capelli, e ride. Io rimango immobile, come un imbecille, mentre mi tornano alla memoria vaghi flash visivi e frasi a metà.
Nononono, ahahahahah, non andiamo ancora a casa, dai, eheheheh, oddio sono strafatta, ihihihih, cosa c'è di ancora aperto in città? Ah sì, andiamo al Mexico che chiude alle sei, ohohohohoh, ma ci credi che ti sto portando a troie, uhuhuhuh, che matta che sono, ma almeno un po' ti piaccio?”

Esco dallo stato di trance solo quando un groupie cinquantenne particolarmente allegro comincia ad allungare le mani, e arrivo sbandando fino alla pedana. La prendo per un braccio, la tiro giù, lei non smette di ridere e accennare mosse che potrebbero essere danza latinoamericana, oppure lo stretching di riscaldamento di una pornodiva prima di una scena impegnativa. I suoi giovani fans non sono d'accordo. Li capisco, ma ormai sono entrato nella fase “salviamo la brava ragazza”, sempre che data la situazione tale definizione abbia ancora senso. Ne spingo via un paio, e cerco l'uscita. Vengo fermato da un tipo tarchiato, grossissimo, vestito di nero, pieno di anelli e tatuaggi, che con voce pericolosamente calma, e ancor più pericoloso accento dell'est, dice:

Dove tu porti ragazza, eh?”
A casa, non si regge in piedi”
Ragazza da qui esce solo se io dico”
Ma è con me, è la mia ragazza!”
Tanti dice questo, ma qui ragazze sono di tutti”
Ahahahahah, non è vero, non sono la sua ragazza, stasera sono selvaggia, ahahahahah!”

Reprimo l'istinto di tapparle la bocca con una gomitata, e nel momento in cui mister dangerous si gira un attimo per dire “Bienveniuti biella giente, prego!” a due ceffi terrificanti che stanno entrando, scatto fuori trascinandomi la selvaggia brava ragazza. Urtiamo qualcuno, sento il rumore di un bicchiere che si rompe, una voce femminile grida.
Corriamo, io bestemmio, lei ride.
Passano gli isolati.
Mi cala l'adrenalina.
La sento biascicare qualcosa come “ohiohiohi sto tanto male, qua c'è casa mia, portami su”.
Nello stesso istante in cui penso che magari la vicenda potrebbe anche concludersi, nonostante tutto, con un finale divertente, lei si piega in due e si esibisce in una riproduzione assolutamente movie-accurate di Linda Blair nell'Esorcista, con l'unica differenza che vomitando l'anima non gira la testa a 360°. Ma potrebbe anche averlo fatto, non sono sicuro.
Dissolvenza in nero.

(4 – continua...)

Pensiero del giorno: “A me piacciono gli uomini per bene”
(Leia Organa, “The Empire Strikes Back”, 1980)

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On The Road Again - 3 (Dead Man Walking)


Capitoli precedenti: 1 - 2
Tra le cose che si dimenticano – o più probabilmente si rimuovono - dei meccanismi di interazione tra maschio e femmina, dopo tanta confortante monogamia, la principale è il fenomeno conosciuto come “frattura spazio-temporale circoscritta”. Ovvero, quella inarrestabile forza metafisica che trasporta anche la più nazista, precisa e incazzata delle Fräu Blucher, non appena si passa dalla fase “urban professional” a quella “girl's night out”, in una bolla personalizzata sospesa al di fuori del continuum cronotopico in cui si muove il resto dell'universo circostante, bolla nella quale l'affermazione di un orario (per esempio, “facciamo alle 9!”) perde la sua precisa connotazione originale (il minuto successivo alle 8.59 e precedente alle 9.01), allargandosi fino a comprendere l'intero segmento definito dalla cifra iniziale (se lo smartphone dice 9.53, sono comunque ancora le 9. La donzella standard non comincia a sentirsi in ritardo finchè non scattano le 10).
La ragazza che sto aspettando è una vecchia amica, molto carina, molto per bene, che si è laureata qualche anno fa, e alla quale so di essere sempre un po' piaciuto, convinzione rafforzata di tanto in tanto da estemporanei episodi di petting spensierato e fugace, nulla di significativo, ma insomma, anche i campioni che rientrano dopo lunga inattività di solito ricominciano con un'amichevole contro squadre non troppo tenaci, mica vanno direttamente in campo nella finale di champions. Confortato da queste riflessioni, nella certezza di apprestarmi a disputare un buon match, e con discrete speranze di muovere la classifica marcatori, non mi accorgo di aver finito l'avanacola. Soprattutto, non mi accorgo di aver risposto d'istinto, annuendo, al cenno d'intesa della barista, che prontamente me ne recapita un'altro. Grosso errore numero cinque. Mentre porto alle labbra il bicchiere, stacco un attimo il gomito dal bancone, e barcollo. Mi giunge, ovattato, il BIP BIP di un messaggio.
Ehi, sto uscendo adesso, arrivo!”
Sono le 9 e 25, niente di grave, anzi è da considerare come notevole cortesia l'avvisare chi ti attende, se non fosse che nelle fluttuazioni lessico-temporali della già descritta bolla relativistica femminile “sto uscendo adesso, arrivo!” significa “sto finendo di asciugarmi i capelli, poi dovrò scegliere cosa mettermi, truccarmi, poi cambierò idea sui vestiti, poi sulle scarpe, poi cercherò fra le mie 30 borsette l'unica, giuro l'unica, che è ok con la cintura, ma non so se qui ci va bene la cintura, meglio chiamare in videoconferenza skype sei-sette amiche fidate e votare per alzata di mano come i grillini, comunque arrivo, eh!”.
Ovviamente, perso nella dissociazione dei processi cognitivi indotta dal THC, nulla di tutto questo ragionamento oltrepassa l'anticamera del mio lobo frontale, e mi limito a sorridere con aria ebete al display del cellulare, per poi guardarmi intorno – prima volta dal mio arrivo – con sguardo che passa dalla fissità tipica dell'ottuso al vitreo dell'ubriaco. Vedo parecchi studenti universitari, minimo dieci anni meno di me, abbigliati secondo l'imperante stile radical-chic-rapper-noglobal-techno-dandy-bauhaus, cioè figli di papà strabenestanti che fuck the system, certo, ma con l'i-phone da quattrocento euro, più piercing che voti sul libretto, eskimo in microfibra e kefiah di Prada. Li trovo paternalisticamente simpatici, chiaro segnale che sono davvero strafatto e sbronzo come un cosacco. Due ragazze mi osservano con aria divertita. Per darmi un tono, accendo un'altra sigaretta. Al secondo tiro, mi accorgo con raccapriccio che non è una diana blu. Grosso errore numero sei. Intorno a me si diffonde un ottimo profumo di canapa indiana ben stagionata, ed esattamente nel momento in cui penso “cazzo sto in mezzo alla gente, dove la spengo”, arriva lei. Carina e per bene come non mai.
Sono le 9 e tre quarti, non mi reggo in piedi, l'orrenda sensazione che qualunque cosa dica suonerà come un delirio incomprensibile è fortissima, e ho un missile modello Cape Canaveral acceso in mano. Lei è splendida, e sembra felice di vedermi.
Sarà una lunga serata.
(3 – continua... )
Pensiero del giorno: “Spero tanto che non faccia delle sciocchezze”
(Obi-Wan Kenobi, “Attack Of The Clones”, 2002)

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On The Road Again - 2 (Fear and Loathing)

















(Primo capitolo: qui)
"Sei troppo vecchio per queste stronzate", mi dice il riflesso nello specchio, con sorprendente e appropriato citazionismo cinefilo. La crisi del look è cominciata appena uscito dalla doccia. Mi ritrovo, dopo ere geologiche dall'ultima volta che la cosa aveva avuto rilevanza, a ragionare sul fatto che a serata conclusa potrei non essere stato l'unico testimone della mia scelta dei boxer. Più aderenti, con effetto pacco-regalo (ah ah ah) sul davanti, palese sfoggio di self-confidence ma con il rischio dell'apparenza da truzzo di balera, oppure classici di cotone a quadrettoni, assai rassicuranti, ma erotici solo per una con un complesso edipico irrisolto talmente grosso da trovare quasi quasi più attraente il nonno che il padre?

Mi rendo conto di essere nervoso, e insicuro. La teoria non l'ho mica dimenticata, ma la disinvoltura pratica nella gestione dei dettagli di questo tipo è da tardoadolescente di ritorno. Bevo una birra, poi un'altra, poi mi faccio una canna. Grosso errore numero uno. Ottenuto il relax mentale necessario, comunque, mi appare chiarissima l'evidenza del fatto che nel momento in cui una arriva a trafficarti nei boxer, il design di questi ultimi non dovrebbe più essere una variabile tanto significativa da ostacolare l'eventuale pompino. Ne indosso un paio a caso, e il resto viene da sé, jeans, maglietta, maglione, giubbotto, scarpe sportive, cappellino da baseball: sono eighties il giusto, trendy ma non troppo, pieno di ottimismo. E di tetraidrocannabinolo.

Nove meno venti, il pub è dietro casa, ho la lingua vagamente felpata, bevo la terza birra. Rollo un'altra canna. Grossi errori numero due e tre. La metto nel pacchetto di sigarette, esco. Comincio ad avvertire la tipica percezione di dilatazione del tempo, le rampe di scale sono infinite, la strada è lunghissima, è sabato sera, c'è parecchia gente in giro, mi sento un po' osservato. Due vecchiette che incrocio stanno parlando tra loro.

"Guarda lì, un altro coglione che stasera spera di scopare, LOL".

So benissimo di essermelo immaginato, soprattutto per il fatto che difficilmente le ottantenni inseriscono nella conversazione turpiloquio e acronimi da web, ma la sensazione di giudizio universale–sociale-morale focalizzato su di me non passa. Giungo a destinazione in perfetto orario, la barista mi saluta e mi dice "il solito?". Certo, faccio io sovrappensiero. Grosso errore numero quattro. Arriva un generosissimo avanacola. Se fosse un film, a questo punto entrerebbe in colonna sonora un passaggio di archi e fiati in bemolle minore, cupo e allarmante, di quelli che fanno stritolare i braccioli delle poltrone al cinema, quando ti chiedi da dove sbucherà il maniaco, o quale catastrofe stia per abbattersi sul protagonista. Appoggiato al bancone esterno, comincio a sorseggiare il drink, mi accendo una sigaretta. Sono a stomaco vuoto, ma non ci penso. Aspetto.
(2 - continua...)
Pensiero del giorno: "Se mi vedesse il Maestro Obi-Wan, si arrabbierebbe molto" (Anakin Skywalker, "Attack Of The Clones", 2002)

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On The Road Again






Non facevo la corte a una ragazza da tanto, tanto tempo. E' dura ritrovarsi da soli, specialmente dopo averci creduto davvero, dopo aver avuta chiara una visione del futuro insieme, quelle cose tipo anche noi passeggeremo da vecchi tenendoci per mano, mangeremo il gelato al parco e poi andremo al matinée dei pensionati a vedere l'ultimo Tarantino, che finalmente avrà vinto l'Oscar 2045 per il miglior film con "Italian Apocalypse", appassionante rivisitazione in chiave splatter-grottesca della Guerra Civile che trent'anni prima aveva disintegrato nel sangue la Repubblica, la cui scena madre è un leggendario piano sequenza 3D di ventidue minuti in soggettiva di un precario plurilaureato che stermina con la katana tutto il call-center dove lavora, per poi fare seppuku in diretta su facebook divenendo così il simbolo della rivolta.

E' dura, dicevo. Perchè dopo una lungodegenza sentimentale di anni e anni, si perde l'abitudine alle regole del gioco, alle schermaglie e ai trucchetti, agli SMS di sei parole - tre delle quali sono "ciao, come stai" - ma che ci metti un'ora di riflessioni dietrologiche a scrivere, intrappolato nella dinamica di psicologia rituale che richiede all'uomo il primo passo, senza però far trasparire la minima debolezza, vulnerabilità o eccessivo e trepidante interesse, errore che non lascia speranze. Dopo estenuante brainstorming con me stesso, alla fine, le successive tre parole sono state un geniale, audace ma circospetto "ci vediamo stasera?", che contro ogni pronostico ha ottenuto in premio un clamoroso "perchè no? facciamo alle 9!". E così è stato. 

Più o meno.

(1 - continua...)
 
Pensiero del giorno: "Quando riusciremo ad essere sinceri tra noi?" 
(Padmè Amidala, "Revenge Of The Sith", 2005)

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